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Mia convivenza con la mia persona

Tutto ciò che è scritto qui è scritto alla rinfusa in momenti di autoconsapevolezza. Se lo si sta leggendo, chiedo perdono in anticipo.

Sono nata ipotonica e la “fontanella” nel mio cranio pare non si sia chiusa nei tempi previsti.

Da piccola non mangiavo, dovevano nutrirmi con un sondino. Sono stata trasferita in Policlinico e ho trascorso lì i miei primi giorni.

Ho cominciato a lallare presto, a due mesi e mezzo di vita.

Ho cominciato a parlare presto (già a nove mesi formavo parole di senso compiuto). Sapevo leggere e scrivere già a due anni. A tre anni ho acquisito totale fluidità sul leggere e scrivere.

Ho cominciato a camminare il 5 settembre 2001, dopo solo un anno (e qualche giorno) di vita.

Ero una bambina molto calma. Dove mi mettevano, stavo. Letteralmente.

Quando mio padre usciva di casa per andare a lavoro, mi sbattevo la testa ripetutamente sulla porta d'ingresso.


Odio le mollette (che servono per appendere i vestiti) rotte, quindi sento un dovere a ripararle. Se vedo una molletta rotta ne cerco i pezzi e la riparo, smettendo di fare qualsiasi altra cosa che io stessi facendo prima.
Questo lo faccio sin da quando ne ho memoria.

Ordino sempre pennarelli, matite colorate, colori a tempera in ordine cromatico; ordino sempre le altre collezioni di cose per colore o per grandezza.
Queste cose le faccio sin da quando ne ho memoria.

Non sono mai riuscita a dormire fuori casa mia. Quando mi addormentavo per stanchezza e mi ritrovavo nei letti di zii, zie e nonni, piangevo quando mi risvegliavo perché l'ambiente mi sembrava ostile. Ancora oggi dormo in altri luoghi solo previa stanchezza, e sono molto restia quando mi si propone di dormire altrove.

Non sono mai riuscita a relazionarmi bene con le persone mie coetanee. Da piccola mi veniva più facile parlare con gli adulti.

Ho sin dalla tenera età sviluppato un interesse attivo per la lingua inglese. Al contrario, la lingua italiana non mi ha mai suscitato alcun interesse.

Sin da piccola mi sono piaciuti i computer e ho sviluppato un interesse molto forte su di essi da cui non riesco a / non voglio distaccarmi.
Questo interesse è stato influenzato dall'indisponibilità economica, e per molti anni ho dovuto vivere con computer prestati da membri di famiglia per portare a termine i miei “esperimenti”. Avevo un computer mio già dall'età di 6 anni, ma era troppo vecchio per farci ciò che io volevo, quindi lo usavo solo per ascoltare musica. Ho imparato a programmare a 14 anni da autodidatta e a 17 anni ho avuto un computer che veramente mi ha permesso di fare tante cose. Mi sono pianificata e costruita il mio attuale computer fisso pezzo dopo pezzo.

Ho sviluppato un altro interesse, coincidente con l'interesse sull'informatica, che riguardava fotografia, fotoritocco ed effetti speciali video. Ho imparato a usare Photoshop a soli 8 anni, e già a 10 anni avevo una buona idea di cosa servisse per fare un buon fotoritocco. Ho anche imparato da sola a fare motion graphic ed effetti speciali video.
Oggi cerco di trasformare questo mio interesse in una realtà fra l'arte e il lavoro.

Ho sempre convissuto con la musica, che è diventata pure un mio interesse molto forte. Non posso stare senza musica in modo continuato. Io ho bisogno di ascoltare musica. Colleziono musica in vinile, e il mio interesse ultimo è collezionare ogni album contenente ogni canzone che io abbia mai apprezzato nell'intero arco della mia vita.
Questo mio forte interesse mi ha portata a sfidare i servizi di identificazione musicale (tipo Shazam) e molto spesso dico io il nome e l'artista di ogni canzone mainstream e non ai miei amici che se lo chiedono.
Vorrei tantissimo una riedizione di Sarabanda per questo motivo.
Per lo stesso motivo, mi viene naturalissimo ricordare i testi delle canzoni.

Sin da piccola ho avuto un udito veramente sensibile. Questo mi ha permesso di apprezzare benissimo la musica, ma è diventato un problema perché non riesco a stare in situazioni dove c'è molto rumore e non tollero affatto la dissonanza di suoni. Da piccola piangevo o mi tappavo le orecchie e gridavo quando ero posta in una situazione di stress uditivo, mentre adesso mi fa male la testa e mi viene tantissima ansia.

Lo stesso suono o rumore posso percepirlo come molto forte o molto piano anche se effettivamente ha lo stesso volume; similmente, suoni piacevoli possono risultare fastidiosi in contesti diversi.

I rumori improvvisi molto spesso mi provocano reazioni emotive, dall'ansia alla paura all'ira. Queste reazioni solitamente durano pochissimo, però.
Esempi di suoni che mi provocano reazioni emotive di cui sopra:

  • Il masticare non in modo corretto, soprattutto se a bocca aperta o aspirando;
  • Gridi dal nulla soprattutto se si parte da una condizione di silenzio;
  • Suoni ripetuti come i ticchettii degli orologi;
  • Cose che arrivano a terra;
  • Porte e portoni che sbattono;
  • Cani che abbaiano;
  • I motori delle moto;
  • I clacson.

Non riesco proprio a toccare e maneggiare alcune cose, soprattutto se viscide. La frutta tagliata, o la buccia separata dalla frutta, ad esempio.

Sin da piccola non ho potuto mangiare diversi cibi perché la sensazione in bocca e la consistenza non mi piacevano. Ancora oggi non posso mangiare gli stessi cibi per gli stessi motivi; ad esempio, la frutta, perché è viscida. Anche le fettine di carne di bovino mi danno lo stesso problema, soprattutto se hanno una consistenza troppo fibrosa e dura sulla lingua; Infine, ogni cosa troppo inzuppata nell'acqua o nei brodi.
Al contrario, amo cibarmi di cibo che ha sempre la stessa consistenza, come le patatine del McDonald's.

Non so come mai ma ho sempre come l'impressione di luci che si accendono o parti della mia visione che diventano più chiare totalmente a caso.

Sono una persona che ha cambiamenti improvvisi e repentini dell'umore.

Mi viene ancora rimproverata la mia abitudine di tagliar via le etichette dai vestiti perché talvolta mi portano fastidio. Ormai provo su una maglietta per determinare se l'etichetta mi porta fastidio o meno, e poi eventualmente la taglio via.

Il mio soprannome, da piccola, era “il professore” (maschile perché sono tristemente nata maschio).

Mi è naturale imparare a memoria alcune informazioni, fra cui numeri di targa delle auto e numeri di telefono, delle persone che conosco e a cui voglio bene. Da piccola mi chiamavano pure “rubrica umana” e mi piaceva comporre i numeri sul telefono di casa di mia nonna (modello Sirio, che davano in dotazione a chi attivava la linea Telecom anni fa; mia nonna ne teneva uno bianco in cucina e uno rosso in camera da letto).

Sin da piccola ho avuto comportamenti ripetitivi: sfarfallo con le mani o me le sfrego; mi dondolo sulle sedie e giravo in quelle girevoli; manipolo gli oggetti come i cubi di Rubik, le palle antistress, la plastilina; scuoto le penne; agito le gambe prima di dormire e da seduta sulle sedie.
I miei genitori notavano questi comportamenti e mi imploravano di smetterla: mi sono odiata e mi sono ritenuta stupida per colpa loro. Ho passato anni della mia vita cercando di intercettare e fermare questi miei comportamenti, spesso senza successo; la seconda cosa che ho fatto è stata cercare riparo in modo da non esser vista da nessuno mentre avevo questi comportamenti. Molti di essi comunque non sono stati evitabili o nascondibili.
Dal 2021 cerco attivamente di decostruire lo stigma internalizzato che ho a riguardo, perché mi rende la vita pesante e invivibile.
Dal 2022 ho cercato di capire come mai il mio corpo ha bisogno di questi comportamenti ripetitivi: pare che non lo faccia solo per scaricare nervosismo e stress, ma anche per tenere la concentrazione, per tenermi stimolata, o, al contrario, per scaricare la tensione dovuta ai troppi stimoli esterni.

Non so mentire. Se dovessi mai mentire, il mio corpo lo farebbe intendere per mezzo di comportamenti ripetitivi atti a scaricare la tensione del momento.
Per questa ragione la gente odia visceralmente farmi regali a Natale e al mio compleanno e io sono sempre molto triste a riguardo: se non mi piace un regalo è una questione d'onestà dirlo, no?

Da piccola non riuscivo a giocare molto bene ai giochi di finzione.

Da piccola non riuscivo a leggere l'orologio analogico. L'ho imparato, eventualmente, da grande; ma anche oggi esso non riesce a rendermi il senso naturale dello scorrere del tempo, come invece noto fa con altre persone.

Da piccola non riuscivo ad allacciarmi le scarpe. L'ho imparato, eventualmente, da grande.

Sono sin da sempre stata impacciata nei movimenti: ad esempio, inciampo e cado molto facilmente e sbatto molto spesso sugli angoli di porte, finestre, scrivanie e tavoli, facendomi anche parecchio male.
In generale, non riesco a manovrare il mio corpo con accuratezza nello spazio e nel tempo e non riesco assolutamente a coordinare movimenti complessi (ad esempio non so nuotare e corro male).
Alle superiori la mia professoressa di scienze motorie mi odiava perché pensava che io fossi pigra e diceva che esageravo quando inciampavo nella corsa o non riuscivo proprio ad eseguire correttamente gli esercizi di stretching.

Sono impacciata nel parlato: ad esempio, mi capita spesso di dire parole che non c'entrano nulla con ciò che voglio dire e che sto dicendo; un po' meno spesso mi capita di sbagliare la pronuncia di alcune parole; ancora meno spesso mi capita di articolare male i suoni; in ogni caso molto spesso mi impapero e devo ripetere parole che non riesco a pronunciare subito correttamente.

Mi manca totalmente la funzione che fornisce feedback (tipo “eh”, “oh", “ok”, per far capire che stai seguendo) quando seguo un discorso, e molto spesso questa cosa mi fa passare per disinteressata.

Da quando ne ho memoria mi si dice che cammino in modo strano, quasi molleggiato, appoggiando prima le punte dei piedi.

Da quando ne ho memoria mi si dice che parlo in modo strano perché non accentuo alcuna parola e ho un tono cantilenoso e perlopiù piatto.

Mi dicono spesso che sono fredda e disinteressata a tutto. Alcune volte mi dicono che mi atteggio come una so-tutto-io. Io non intendo nulla di tutto ciò e non so come fare per evitare queste incomprensioni.

Quando parlo non ho una vera e propria concezione del volume della mia voce. A volte parlo troppo piano e altre troppo forte. Mi affido spesso al feedback degli altri per alzare o abbassare la voce in conformità al contesto.

Non ho mai veramente capito le altre persone. Non capisco i modi di dire e i proverbi; essi mi confondono; li ritengo stupidi. Non sono in grado di cogliere il corretto in situazioni e discorsi ambigui, come l'ironia e il sarcasmo. Non riesco a capire le emozioni altrui, e riesco ad empatizzare con l'altro solo previa spiegazione. Non riesco a capire il linguaggio non verbale. Non riesco a comprendere le situazioni sociali. Mi viene veramente difficile entrare in un discorso se non riguarda un argomento per cui io provo interesse. Molto spesso scelgo di stare fuori dalle discussioni e dalle situazioni sociali. Siccome sto spesso fuori dalle situazioni sociali, tendo naturalmente a isolarmi, poiché è la mia comfort zone.

Odio quando mi si forza a fare promesse che non posso mantenere; al contempo odio quando le persone non mantengono le proprie promesse.

Quando si usano degli "slang" che non conosco, posso diventare parecchio ossessiva con la mia curiosità nell'informarmi su di essi.

Non ho il dono della sintesi. Quando spiego un avvenimento o una mia opinione spesso sono enormemente prolissa perché dettaglio per bene l'avvenimento raccontato o l'opinione che ho. Questa cosa mi è stata rimproverata molte volte ma non riesco proprio a sintetizzare.

Mi piace dormire sotto coperte pesanti, poiché mi fanno sentire al sicuro.

Molto spesso “penso” alle emozioni e ai sentimenti, anziché “sentirli”.

Ho bisogno di dare un nome alle cose, e a ricondurle ad altri concetti ed episodi concreti e appresi per poterle capire.

Ho difficoltà a studiare se la materia non coincide con un mio interesse. A scuola andavo benissimo in inglese e informatica, ma facevo schifo in tutte le altre materie. Ho un serio bisogno di aiuto a riguardo, ma non ho mai chiesto a nessuno.

Distinguo due periodi della mia esistenza, che si alternano nel tempo: uno in cui ho tanta voglia e tanto bisogno di fare le cose, e uno dove anche volessi fare qualcosa non ho la motivazione per far nulla.

Quando faccio qualcosa nel mio interesse e mi ci concentro riesco a immergermici fino a perdere la concezione del tempo che scorre e anche la consapevolezza dello spazio attorno a me.

In genere non chiedo mai aiuto a nessuno; sono spesso gli altri ad accorgersi che io ho bisogno di aiuto e a offrirmelo, ma anche in quel caso rifiuto e accetto solo dopo una grande insistenza da parte di chi vuole aiutarmi, e poi mi sento infinitamente debitrice.

Di contro, sento il dovere innato di aiutare le persone. Aiutare le persone mi fa stare bene anche se poi mi ritiro nella mia bolla di isolamento. E aiutare gli altri molto spesso ha precedenza sull'aiutare me stessa.

Ho pochissima autostima, ma mi piace pensare che ci stia lavorando su.

Mi prendo carico delle colpe mie e altrui in situazioni e discussioni.

Chiedo sempre scusa, anche quando non è necessario. Mi sento sempre come se dovessi chiedere scusa a tutti a prescindere, come se la mia mera esistenza fosse da sola qualcosa di cui scusarsi con l'altro.

La gente mi rimprovera spesso perché non cerco mai attivamente nessuno. Ciò che non sanno è che non ne sento il bisogno, e anche se lo sentissi io ho paura di contattare le persone per prima e non so intraprendere alcun discorso se non è mosso da un ben definito argomento. I discorsini convenevoli come “Ciao, come va?” mi mettono ansia perché non li so iniziare, non li so continuare e non so nemmeno come rispondere.

Ho paura delle persone.

Ho molta ansia se sto in mezzo alle persone: per questo non ho mai voglia di uscire di casa ed esco quasi sempre controvoglia.

Stare in un'aula con una ventina di persone è abbastanza per mandarmi in ansia.

Amo lo star da sola, eppure questa solitudine mi sta uccidendo.

Vorrei avere veri amici, non solo conoscenti.

Ho una enorme paura del rifiuto.

Molto spesso sono combattuta fra il partecipare a eventi sociali e il rimanere a casa.

Non ho veramente bisogno di un partner in amore; in questo senso, mi innamoro platonicamente delle persone e ciò mi basta.

Mi vergogno di me stessa quando ho interazioni con estranei (come andare a comprare il pane o chiamare a una segreteria). Riconosco che in queste situazioni divento più impacciata a parlare.

A volte non riesco proprio a parlare, soprattutto se sono circondata da gente estranea, e mi limito al gesticolare per farmi capire. La mia voce mi porta stress.

Quando parlo non capisco se e quando devo fermarmi per far parlare le altre persone. Similarmente, non capisco se l'altra persona ha interesse in ciò che dico.

Se mi si interrompe mentre parlo o scrivo qualcosa, perdo il filo ogni volta.

Se mi si fa capire che ci sono informazioni che devo sapere e non me li si dice subito (ad es. “te lo dico dopo”), la curiosità prende il meglio di me e mi fa infastidire.

Il mio dialogo interno è persistente nei miei pensieri, e a volte è così forte che devo proprio parlare a me stessa, anche per ore intere. Ho paura che gli altri mi possano sentire, quindi mi limito a parlare veramente piano e mi isolo.

Penso e ragiono per significati anziché per significanti. La “sedia” per me è l'oggetto che si materializza nella mia mente, e non il suo significante in italiano.

Similarmente, ricordo prevalentemente in modo fotografico; per questo, credo, mi viene troppo naturale dettagliare i miei racconti di avvenimenti accaduti.

Riesco a immaginare tutto nel dettaglio, e questa cosa mi torna utile perché, ad esempio, riesco a visualizzare esattamente come deve essere uno scatto fotografico o una postproduzione a una foto ancor prima di mettermi lì a eseguire quello scatto o quella postproduzione.
Ancor prima, riuscivo a pensare a un pezzo di codice e a copiarlo, letteralmente, dalla mia mente al progetto informatico su cui stavo lavorando.

La mia fantasia è sempre e comunque caratterizzata da elementi fantasy talvolta surreali: penso sempre alla magia e a tutte le varie forme di essa che potrebbero esistere; dimensioni parallele che con la nostra hanno poco o nulla a che fare; streghe, maghi, e intere realtà parallele tratte dal mio quotidiano in cui l'uso di varchi dimensionali e magia è comodo e di routine.

Odio calpestare il cemento nudo fra due piastrelle o mattonelle. Se lo faccio e me ne accorgo mi infastidisco.

Odio aspettare (metro, treno, autobus…). Odio anche aspettare la gente in ritardo. Mi prendo d'ansia guardando l'orologio se sono io in ritardo.

Odio quando vengo notata da qualcuno, sia in positivo che in negativo. In generale, odio le aspettative su di me. Tutti i miei parenti hanno avuto aspettative su di me perché mi ritenevano un prodigio da piccola, mentre adesso di quel prodigio non si vede nemmeno l'ombra. Non so ancora se sia più colpa mia o loro. Ancora oggi se non ottengo il massimo dei voti mi sento male perché loro mi hanno fatto internalizzare le loro aspettative su di me, e dovrei decostruire e mandar via queste perché non posso sostenerle.

Ho bisogno di ripetere ciò che dico a me stessa, anche più volte, soprattutto se lo urlo o se in genere non parlo a voce bassa. Devo rendermi conto di ciò che dico e sentire “mie” le frasi che ho appena detto. Anche questo molto spesso mi ha fatta passare come una persona strana, ma non riesco a smettere.

Distinguo tre tipi di stanchezza: quella fisica, che non impedisce che io mi spenda in situazioni in cui è necessario lo sforzo psichico; quella psichica, che mi impedisce di spendermi in situazioni in cui è necessario lo sforzo psichico, ma che mi fa tenere tutte le funzioni base; e infine una stanchezza a cui non ho veramente dato un nome, che mi impedisce pure di pensare, di camminare (inciampo, perdo l'equilibrio, ecc.), di capire ciò che mi sta intorno e di interagire. Quando provo quest'ultimo tipo di stanchezza, molto spesso, devo riposarmi per lunghi lassi di tempo (anche uno o due interi giorni) prima di tornare ad uno status di normalità.

A volte mi manca il respiro se tocco alcuni materiali soffici, come la flanella. Eppure la flanella mi piace tantissimo.

Quando esco ho il bisogno di stare da sola; evito le strade affollate e cammino con la paura che qualcuno mi stia osservando.

Chi mi conosce sa che sono una persona molto solitaria. Alla fine della giornata mi piace stare sola e riposarmi, lontana da situazioni e contesti sociali. Questo lo devo a me stessa, per non impazzire e non affaticarmi.

Ho bisogno di sicurezza nella mia vita: odio i cambi di routine che destabilizzano il senso di sicurezza che riesco a crearmi in abbastanza lunghi periodi di tempo.

Ho bisogno di una certa sicurezza affettiva, perché ho veramente paura di essere abbandonata a seguito di una lite fra i miei quando avevo solo sei anni, che mi portò ad essere effettivamente abbandonata da mio padre. Ancora oggi non riesco a vivere serenamente il rapporto con lui, anche perché è una persona transfobica che non accetta pienamente la mia identità.


Mi si rimprovera il fatto di non essere mai “abbastanza femminile”, però non sono nemmeno “abbastanza maschile”.

Non mi sono mai identificata col corpo che mi è stato dato. Non mi sono mai identificata nei ruoli di genere che mi sono stati assegnati alla nascita. Mi sono sempre vista come una bambina, e poi una ragazza intrappolata in un corpo non mio.
La retorica dell'intrappolamento è una retorica che non sposo più, comunque.
Col tempo ho capito che è più positiva la retorica di riappropriazione del corpo.
Ho capito che ero diversa da tutti gli altri a 11 anni. A 12 anni potevo fare coming out ma mi mancavano le parole. Ho fatto coming out a 18 anni come ragazza transgender. Avrei potuto farlo prima ma ho preferito aspettare la maggiore età.

Ammetto di aver trascurato il mio corpo perché sentivo che non mi apparteneva. In quei momenti ho avuto tendenze suicide (e ho tentato attivamente il suicidio una volta) e ho attivamente praticato atti in cui mi infliggevo dolore, sia fisico che psichico.

Ho vissuto gran parte della mia vita in totale apatia. È strano perché io da piccola e ora sono parecchio emotiva.

Non c'è mai stato un vero momento di felicità nella mia vita. Forse proverò un momento di felicità quando potrò comprarmi il mio primo set di mattoncini Lego, che ho sempre invidiato ai miei coetanei da piccola; non me lo potevo permettere e non posso ancora permettermelo. Forse proverò felicità vera quando finirò la mia transizione di genere.